lunedì 18 ottobre 2010

Al verde...

Giornalisti Vegan? Avanti!
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NOTA: Promiseland.it è un Network Etico, da sempre il principale promotore in Italia di uno stile di vita nonviolento e Vegan. Per collaborare a Promiseland.it , pur non essendo un vincolo il fatto di non essere Vegan (anche se è ovviamente preferibile e la quasi totalità di noi lo è), è comunque necessario avere una forte sensibilità verso questa scelta e conoscerne le motivazioni che stanno alla base.
Contattaci subito e ti risponderemo con tutti i chiarimenti del caso.
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venerdì 15 ottobre 2010

Cari ragazzi, vi racconto perché anche voi potete farcela

Un'interessante riflessione di Vittorio Zambardino dal suo blog
http://zambardino.blogautore.repubblica.it/
In questa pagina potete leggere tutta la lettera che, via Facebook, Lou del Bello ha spedito a Paolo Madron, direttore di Lettera 43. Conosco Lou. E’ una ragazza di 26 anni che studia e lavora a Bologna, e prova a fare la giornalista da cinque anni con tutti i mezzi e le sofferenze che racconta in questa lettera (e sbarca il lunario facendo tutta la gamma dei lavoretti “da ragazzi” che ci sono in questo paese, cameriera in un pub incluso).

Voglio dire che Del Bello non sta facendo vittimismo e raccontando balle. Mi risulta che sia così. E io la conosco perché tra le sue peregrinazioni c’è il volontariato al festival del giornalismo di Perugia, dove Lou lavora fin dalla prima edizione. Corre avanti e indietro da un dibattito all’altro, ne scrive i resoconti, cura le pagine web, dalle 7 di mattina alle 10 di sera. Sono in centinaia a Perugia a far questo. E vogliono tutti essere giornalisti. Non “diventare” giornalisti per grazia ricevuta. Quei ragazzi sentono già di esserlo, giornalisti.

Ma Madron non ha detto no - Questo detto, il messaggio di Lou a Madron non mi trova del tutto d’accordo. E scrivo questo post perché credo che possa aiutare lei e quelli che si trovano nella sua situazione a capire meglio di quali sofferenze e pene stiano patendo. Ma prima vorrei dire, non a difesa di Madron ma a miglior comprensione della situazione, che il direttore di Lettera43 a Lou ha proposto una collaborazione. Con notizie fresche.

“Mi aspettavo un colloquio” - Lou risponde: “Mi aspettavo un colloquio”. Ma forse accade che il giro delle assunzioni a Lettera43 sia finito e mi pare che Madron abbia fatto uno sforzo serio per contrattualizzare molti giovani giornalisti.

Per noi era lo stesso - Cara Lou e cari tutti, ma voi pensate davvero, come certe volte si legge nei post dei blogger avvelenatori di pozzi, che noi siamo nati con la divisa di giornalisti, il conto in banca e il privilegio nelle vene? Oddio, i privilegiati ci sono sempre stati, ma la grande maggioranza di noi ha sputato sangue per farcela. Potrei far nomi ma non ho il permesso di farne. Cito qualche ricordo sparso senza dirne il protagonista. Un famoso giornalista sportivo di Repubblica che, da collaboratore, scriveva i pezzi in automobile, parcheggiato sotto il giornale, e poi li dettava dalla cabina in piazza Indipendenza. Se l’avessero beccato in redazione, si sarebbe potuto pensare che stava tentando di farsi assumere surrettiziamente.

Personalmente ho fatto anni di trasferte a mie spese. Mi autodefinivo “free lance”, ma ero un pezzente, avevo già due figli e lavoravo alla rivista di un ente di promozione sportivo dove prendevo uno stipendio da sussidio di disoccupazione. Andavo a New York per le maratone degli anni ‘80 e collezionavo decine di pezzi, alcuni firmati per Repubblica, altri con pseudonimi per quattro cinque giornali a volte tra loro concorrenti, finivo di scrivere a ore lunari e col mal di testa per cucinare sempre la stessa zuppa con un sapore diverso.

Alcuni pezzi non mi sono stati nemmeno mai pagati e quelle trasferte erano solo autopromozione, visto che ne coprivo i costi con un conto corrente del banco di Napoli che permetteva di andare in rosso di 20 milioni (sia benedetto ora e sempre chi mi aiutò ad averlo, non possedendone io i requisiti, non avevo un accidente).

Conosco il caso di un collega che è rimasto precario per vent’anni. Ma otto-dieci anni di “abusivato” sono stati la regola per gran parte dei cronisti oggi in attività. Forse a Milano era diverso, ma non era diverso in tante redazioni. Conosco persone che sono entrate in un giornale a 20 anni con una borsa di studio e che stanno ancora lavorando 14 ore al giorno. Poi dice “hai fatto carriera”, ti pagano bene. Sì ma mi sono ammazzato di lavoro e forse non ho avuto una vita (la prima persona è narrativa, non sono io il collega citato). Vi racconto tutto questo perché lo sguardo su ciò che siamo oggi ci fa apparire ai vostri occhi come arrivati, benestanti, privilegiati e stronzi. Ma eravamo come voi. E ne abbiamo mangiato di “zuppa”, anche molto peggiore di quella di Lou Del Bello.

I perdenti ci sono sempre – E certo, anche nelle generazioni nostre ci sono stati molti che hanno dovuto rinunciare. Fare altri mestieri. Il giornalismo non conosce sanatorie o condoni. E forse tra chi non è “entrato” c’era gente validissima, ci ho pensato spesso, “chissà quanti erano più bravi di me”.

Cosa sto dicendovi, ragazzi? Che se un direttore vi risponde “portami idee”, “portami notizie”, vi ha già detto una cosa importante. Non vi ha aperto la porta, mi vi ha lasciato uno spiraglio. Poi sta a voi lavorarci sopra. La risposta brutta davvero sarebbe stata la porta chiusa.

Ma esattamente come nel racconto di Kafka “Davanti alla Legge”, ognuno è responsabile del suo non varcare una porta aperta. Costa fatica? Oh sì molta fatica, fatica e tanta “merda” da mangiare. Tanto lavoro, ma anche tante volte in cui dirai sì volendo dire no, in cui scriverai un pezzo in cui non credi, in cui piegherai la testa, perché prima o poi la testa la piegano tutti, e chi dice di non averlo mai fatto è un mentitore o uno abituato a farla piegare agli altri.

Oggi il giornalismo è più debole, si può entrare con più “armi” – E non avrai mai la certezza di avercela fatta, fino a quando non ti volgerai indietro e vedrai la strada fatta. Il giornalismo non è l’avvocatura o la medicina. E’ merce deperibile, instabile e soggetta a furto. Ma se ce l’hai dentro questo è il gioco da giocare. Voi non siete sfortunati e noi privilegiati. La merda nel menù è sempre stata questa. Solo che adesso siete in molti di più a volerla mangiare. Ma con più carte in mano. Perché la rete apre alla professione libera molto più di quanto fu per noi. Perché il giornalismo in questo momento è più in crisi di prima e “sa” meno cose di prima. Si sa debole. Scavate fra le opportunità dell’approfondimento o del giornalismo dei dati o di quello d’inchiesta. Troverete molto, a patto di non voler essere come loro, i giornalisti affermati, e di essere voi e cazzuti, preparati, orgogliosi e forti della vostra cultura digitale.

La “porta” è sempre aperta per te, da qualche parte.

lunedì 11 ottobre 2010

L’esercito irregolare degli stagisti

Dall'articolo di David Randall su Internazionale
Da una decina di anni faccio parte di un’organizzazione che sfrutta le ragazze. Cioè, a dire la verità, anche i ragazzi: non facciamo discriminazioni.

Siamo pronti ad approfittare di chiunque sia disposto a sottoporsi a quello che gli americani chiamano internship e qui a Londra si chiama “esperienza di lavoro”. In altre parole: sfruttiamo i giovani che vogliono diventare giornalisti e sono disposti a lavorare gratis, per settimane o perfino mesi, in cambio di un po’ d’esperienza e della possibilità di scrivere nei loro curriculum che hanno passato un periodo di tempo nella redazione di un quotidiano nazionale.

Questo sistema, che qualcuno considera una truffa, è cominciato per quanto ne so una quindicina d’anni fa. All’epoca ci fu un notevole aumento dei corsi di giornalismo (che per le università affamate di soldi sono una laurea facile da offrire a potenziali studenti), unito a una diminuzione dei posti da praticante nelle principali testate britanniche. Da questo squilibrio tra aspiranti giornalisti e posti disponibili è nata “l’esperienza di lavoro”, una soluzione che in teoria avrebbe dovuto accontentare tutti. I giovani fanno esperienza, forse imparano anche qualcosa, e noi abbiamo personale gratis.

All’inizio erano tutti figli di colleghi, ma poi si è sparsa la voce. La settimana scorsa l’edizione domenicale del mio giornale aveva sei stagisti, e in passato ne abbiamo avuti anche di più, e oggi quasi tutti i quotidiani ne hanno qualcuno.

In alcuni giornali gli stagisti stanno seduti in un angolo, preparano il caffè e sono abbandonati a loro stessi. All’Independent on Sunday, invece, gli chiediamo di fare le ricerche online, di contattare nuove fonti e, ogni tanto, di scrivere qualche box informativo o una didascalia.

Sono sotto la stretta supervisione dei reporter più anziani o dei caporedattori e alcuni rispondono magnificamente, lavorando in modo intelligente e fermandosi volentieri in redazione anche dopo l’orario stabilito. Voi direte che si tratta di sfruttamento, ma dato che sono lì per imparare e fare esperienza, più si danno da fare e meglio è.

I veri sfortunati sono quelli a cui non viene affidato nessun compito, a volte perché mostrano poco talento e scarso entusiasmo. Molto raramente, se uno stagista sembra davvero promettente, gli chiedo di scrivere un articolo di cronaca a partire da un lancio di agenzia. E ogni due anni mi capita un laureato talmente eccezionale che lo “adotto” subito, gli regalo uno o due libri da leggere e continuo a interessarmi a lui anche dopo che se n’è andato. Dieci anni fa avevo trovato una ragazza che era chiaramente una giornalista nata. L’ho segnalata al miglior corso di giornalismo, le ho dato consigli mentre si faceva strada nei giornali più piccoli, e quattro anni fa è stata assunta da un quotidiano nazionale. All’inizio dell’estate io e mia moglie siamo andati al suo matrimonio. Vederla crescere così è stata una soddisfazione, come se fossi stato suo padre.

Come molti giovani che hanno lavorato con me, e che hanno ricavato molto dalla loro esperienza, mi è riconoscente. Ormai siamo arrivati a far conto su queste persone per svolgere il faticoso lavoro della ricerca di base. Senza gli stagisti non potremmo farlo.

Allora è un sistema vantaggioso per tutti? Non proprio, perché ci sono tre aspetti del sistema che non mi piacciono. Primo: dato che non li paghiamo (e non possiamo permettercelo e se fossimo obbligati a farlo dovremmo rinunciarci), qualcuno deve dargli da mangiare, da bere, una casa e soldi da spendere. E di solito quel qualcuno sono i loro genitori. Il risultato è che sono quasi tutti figli di persone benestanti (e spesso anche i loro genitori lavorano nel mondo dell’informazione).

Secondo: ormai per chiunque speri di trovare un lavoro è indispensabile poter mettere nel suo curriculum una serie di esperienze. Di conseguenza questo sistema diventa una forma di discriminazione di classe. Se i vostri genitori non possono permettersi di mantenervi per mesi mentre lavorate gratis, in pratica siete esclusi dal mondo del giornalismo.

Terzo: ora che giornali e riviste hanno a disposizione questo personale gratuito (e nei giornali di provincia gli stagisti non solo aiutano i reporter ma scrivono anche gli articoli), il numero di assunzioni è diminuito.

Se abolissero l’intero sistema io sarei d’accordo, ma dato che difficilmente succederà, cosa possiamo fare per migliorarlo? Anche se io e il mio direttore ogni tanto cerchiamo di dare qualcosa ai più meritevoli, pagargli uno stipendio è fuori questione.

I giornali come il mio perdono più soldi di quelli che guadagnano. La soluzione che suggerisco è di chiedere agli editori di creare un piccolo fondo. Gli aspiranti stagisti potrebbero chiedere una borsa di studio, e solo quelli che la ottengono potrebbero lavorare in redazione.

Il numero degli stagisti si ridurrebbe molto ma il metodo sarebbe più giusto e allontanerebbe il sospetto di sfruttamento. Garantirebbe anche che chiunque voglia entrare nel mondo del giornalismo sia giudicato in base alle sue capacità e non dal conto in banca dei suoi genitori.

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Il lavoro non è un dono: lavoro editoriale e gratuità

Sul numero di settembre 2010 di 'alfabeta2' un interessante articolo di Cristina Morini sulla precarietà del lavoro cognitivo nel settore editoriale.

"Nel bel mezzo della società della conoscenza, ingrassa l’ignoranza. Nel crescere della tecnica, nell’ampliarsi spropositato dei cataloghi e del numero delle pubblicazioni, nell’aumento esponenziale delle iscrizioni alle scuole di giornalismo e ai master in editoria d’Italia, si avranno sempre più rudimenti di tutto ed esperienza di niente, rivincita estrema della “cultura del taglia e cuci o del rappezzage”, come la chiama la Rete dei redattori precari sul suo sito rerepre.org.

martedì 5 ottobre 2010

Dulcis in fundo... l'articolista "copia e incolla"

CHI CERCA

Buongiorno!sono alla ricerca di un articolista copia ed incolla che:
- sappia usare Wordpress
- che riesca a fare almeno 200 articoli al giorno (2 ore di lavoro)
- fidato (in quanto sarà Amministratore del blog)
Il lavoro è di 2-3 mesi e la paga è 5 centesimi ad articolo.


cerco articolista per blog riguardante i giochi.
Dovrete copiare articoli inserendo descrizione del gioco video dimostrativo e altre caratteristiche.
Pago 5 centesimi ad articolo (NON E' TANTO MA è UN COPIA INCOLLA)
La retribuzione potrà aumentare se vedo che siete bravi
PAGO TRAMITE PAYPAL O POSTEPAY
Pago al raggiungimento di un minimo di 4 euro.
IL BLOG è IN BLOGSPOT quindi richiesta esperienza di blogspot/blogger


E CHI OFFRE

Sono un articolista con esperienza di worpress, cerco lavoro come copia e incolla.
Per eventuali accordi mi potete contattare in privato, grazie.
 
Statistiche
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